“La pianta del mondo” esplora il ruolo centrale della vegetazione nelle citta’
“La pianta del mondo” ci mostra che comprendere e promuovere la copertura arborea urbana non è mai stato così importante
“Tra qualche secolo, il 2020 non verrà ricordato come l’anno del Covid19 ma per un fatto passato inosservato e che invece è un evento epocale: il peso dei materiali prodotti dall’uomo-cemento e plastica-ha superato il peso della vita sul pianeta”, afferma Stefano Mancuso, autore di “La Pianta del Mondo”
Stefano Mancuso è professore associato presso l’Università di Firenze dal 2001 e accademico ordinario dell’Accademia dei Georgofili. Dirige il Linv (Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale) con sedi a Firenze e Kitakyushu (Giappone). È autore di oltre 250 pubblicazioni scientifiche sulla fisiologia e sul comportamento delle piante. Ha vinto nel 2002 l’European Award for Research and Innovation, e nel 2010 è stato il primo scienziato che lavora in Italia invitato a un Ted Global, a Oxford. Il «New York Times» lo ha inserito tra i divulgatori scientifici più influenti.
Ha scritto “La pianta del mondo” partendo da un semplice presupposto: all’inizio di ogni storia – sociale, culturale, urbana – c’è una pianta.
Un viaggio nel ruolo che la vegetazione ricopre nel complesso sistema delle lettura preziosa per conoscere i principali inquilini del pianeta: spesso non ci pensiamo, ma le piante costituiscono l’85% della biomassa sulla Terra, mentre gli animali (in ogni specie e forma) raggiungono un mero 0,3%.
Le città: il 2% delle terre emerse; l’80% delle emissioni
“La pianta della città”
Uno tra i capitoli più interessanti del libro del prof. Mancuso – forse perché cosi vicino a molti di noi – è quello dedicato alla città e alla sua trasformazione: quella avvenuta nel corso dei secoli e la necessaria trasformazione che dovrà avvenire, incorporando la vegetazione nella struttura stessa delle nostre metropoli.
Oggi l’uomo occupa una parte irrisoria della superficie terrestre, e questo è cambiato ad una velocità sorprendente nel corso del secolo scorso. Nel 1950 il 70% dell’umanità viveva in zone rurali, con una svolta epocale nel 2007: in quest’anno, per la prima volta, la maggioranza delle persone viveva nelle città. Si prevede che nel 2030 il 60% della popolazione terrestre vivrà nelle città, arrivando ad un 70% nel 2050. In appena un secolo, quindi, i numeri si saranno completamente invertiti. Ciò è ancora più sorprendente se pensiamo che le città occupano appena il 2,7% delle terre emerse abitabili.
Sembrerebbe, quindi, che l’uomo si stia tramutando da organismo generalista (cioè in grado di colonizzare ambienti molto diversi) ad organismo specialista: le città costituiscono, infatti, una sorta di nicchia ecologica, con caratteristiche precise e ben identificabili. Questo habitat produce il 70% dei rifiuti e il 75% delle emissione di CO2, mentre utilizza il 75% delle risorse naturali del pianeta. Un’impronta ecologica non sostenibile, quindi: le città possono svilupparsi solo perché ci sono, in altri luoghi, risorse naturali che vengono sfruttate per alimentare il loro sviluppo.
Le risorse di cui abbiamo bisogno sfruttano il 50% della superficie terrestre
Mancuso si chiede se sia davvero necessario sfruttare il 50% della superficie terrestre per produrre le risorse di cui abbiamo bisogno. E si risponde di no: delle terre destinate a produrre alimenti, il 77% serve all’allevamento, che però produce solamente il 18% delle calorie e il 37% delle proteine consumate dall’umanità. I numeri parlano chiaro.
La fisiologia della città deve quindi cambiare completamente. La proposta del libro è quella di processi di co-evoluzione di uomini, piante, animali, edifici. Le nostre città sono un organismo complesso, e per mantenerlo efficiente e funzionante, la presenza di piante all’interno del centro urbano è fondamentale. Qualunque tentativo di progettazione urbanistica non dovrebbe che rispettoso del ‘metabolismo’ della città.
Il progettoTreepedia e il ruolo degli alberi
Il World Economic Forum e il MIT- Senseable City Lab hanno sviluppato il sito Treepedia, nel quale per molte città del mondo è misurata la percentuale di superficie urbana coperta da vegetazione. È interessante vedere come, per quasi tutte, tale percentuale sia nettamente inferiore al 10% (Roma non c’è, ed è un vero peccato: siamo convinti che le vaste aree agricole presenti ancora nel suo territorio le assicurino un buon indice ma i dati reali potrebbero sorprenderci – e convincerci a fare meglio).
L’aumento della chioma degli alberi di una città contribuisce ad abbassare le temperature urbane bloccando le radiazioni a onde corte e aumentando l’evaporazione dell’acqua. Creando microclimi più confortevoli, gli alberi mitigano anche l’inquinamento atmosferico causato dalle attività urbane quotidiane. I loro sistemi di radici assorbenti aiutano anche a evitare inondazioni durante forti piogge e mareggiate. Quindi, nel complesso, gli alberi sono davvero fantastici.
Consapevolezza e cambiamento di strategia
Le città di tutto il mondo lo stanno riconoscendo e molte stanno sviluppando strategie per aumentare la copertura della chioma verde. Infatti, nel 2015, il Global Agenda Council (GAC) del World Economic Forum (WEF) sul futuro delle città ha incluso l’aumento della copertura della tettoia verde nella sua lista delle prime dieci iniziative urbane: “Le città avranno sempre bisogno di grandi progetti infrastrutturali, ma a volte anche le infrastrutture su piccola scala, dalle piste ciclabili e il bike sharing alla piantumazione di alberi per l’adattamento ai cambiamenti climatici, possono avere un grande impatto su un’area urbana”.
Mentre le città di tutto il mondo si affannano a implementare strategie di copertura “verde” degli spazi urbani, lo strumento del Green View Index permette di valutare e confrontare i livelli di copertura tra città diverse. Altre città saranno presto inserite nella mappatura.
E la tua città? Quante “chiome verdi” puoi contare nella tua città?
foto di copertina: Luca Micheli via Unsplash
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