COME SI FORMANO LE IMPRONTE DIGITALI? forse non è piu’ un mistero
Una teoria avanzata dal matematico Alan Turing negli anni ’50 aiuta a spiegare il processo che caratterizza le impronte digitali
Gli scienziati sembrano aver finalmente capito come si formano gli archi, gli anelli e i vortici che caratterizzano la pelle dei nostri polpastrelli: le impronte digitali. E la soluzione è arrivata grazie alle teorie del matematico Alan Turing, già considerato il padre della scienza informatica e dell’intelligenza artificiale, da lui teorizzate già negli anni trenta del ‘900, ed anche uno dei più brillanti crittoanalisti che operarono nel Regno Unito durante la seconda guerra mondiale
Un po’ di biologia
Le impronte digitali sono uniche e non cambiano nell’arco della nostra vita. Per questo, sin dal 1800, sono usate per identificare le persone. Diverse teorie sono state avanzate per spiegare come si formano le impronte digitali, tra cui il ripiegamento spontaneo della pelle, la segnalazione molecolare e l’idea che il modello di cresta che si forma in ciascuno di noi possa seguire la disposizione dei vasi sanguigni, ma nessuna di queste ha mai convinto fino in fondo.
Mentre si è nel grembo materno, le creste che definiscono le impronte digitali si espandono verso l’esterno in onde a partire da tre diversi punti su ciascun polpastrello. La ricerca di cui parliamo ha scoperto che la pelle in rilievo si organizza in forma di strisce grazie alle interazioni tra alcune molecole, tre per l’esattezza, che seguono il cosiddetto ‘schema di Turing’.
Il contributo di Alan Turing
La scoperta appartiene ad alcuni ricercatori dell’Università di Edimburgo che ne hanno pubblicato i risultati lo scorso 9 febbraio sulla rivista scientifica Cell. Nel loro articolo suggeriscono che lo sviluppo dei dermatoglifi (le linee delle impronte digitali) sia dovuto a un meccanismo di “reazione-diffusione”. A livello teorico, questo meccanismo era già stato proposto nel 1952 da Alan Turing come base chimica per spiegare la morfogenesi, la formazione di schemi regolari durante lo sviluppo embrionale.
In pratica, il modo in cui quelle creste si diffondono dai loro siti di partenza – e si fondono tra di loro – determina la forma dell’impronta digitale generale di ciascun individuo.
La ricerca
Gli scienziati sapevano che le creste che caratterizzano le impronte digitali iniziano a formarsi come escrescenze, come fossero delle piccole trincee. Nelle settimane che seguono, le cellule in rapida moltiplicazione nelle trincee iniziano a crescere verso l’alto, dando luogo a bande di pelle ispessite.
Poiché le creste delle impronte digitali in erba e i follicoli piliferi in via di sviluppo hanno strutture simili, i ricercatori hanno confrontato le cellule delle due posizioni e hanno scoperto che entrambe condividono alcuni tipi di molecole, dette ‘di segnalazione’ – ovvero messaggeri che trasferiscono informazioni tra le cellule – tra cui tre, note come WNT, EDAR e BMP. Ulteriori esperimenti hanno rivelato che il WNT dice alle cellule di moltiplicarsi, formando creste nella pelle e di produrre EDAR, che a sua volta aumenta ulteriormente l’attività del WNT. La BMP, invece, ostacola queste azioni.
Il contributo dei topolini
Per esaminare come queste molecole di segnalazione potrebbero interagire per formare schemi e disegni proprio delle nostre impronte digitali, il team di ricerca ha osservato i livelli delle molecole nei topi. I topi non hanno impronte digitali, ma le loro dita dei piedi hanno creste a strisce sulla pelle paragonabili alle impronte umane.
L’aumento dell’EDAR nei topolini osservati ha portato a creste più spesse e più distanziate, mentre la sua diminuzione ha portato a macchie piuttosto che a strisce. L’opposto si è verificato con BMP, poiché ostacola la produzione di EDAR.
Quel passaggio tra strisce e macchie è un cambiamento caratteristico visto nei sistemi governati dalla diffusione della ‘reazione di Turing’, hanno affermato i ricercatori. Questa teoria matematica, proposta negli anni ’50 dal matematico britannico Alan Turing, descrive come le sostanze chimiche interagiscono e si diffondono per creare schemi osservati in natura. Tuttavia, durante il test, spiega solo alcuni degli schemi osservati.
Il contributo della modellazione 3D
Le dita dei topi, tuttavia, sono troppo piccole per dare origine alle forme elaborate che si vedono nelle impronte digitali umane. Quindi, i ricercatori hanno utilizzato modelli computerizzati per simulare un modello di Turing che si diffonde dai tre siti di inizio della cresta precedentemente noti sulla punta del dito: il centro del polpastrello, sotto l’unghia e nella piega dell’articolazione più vicina alla punta del dito.
Modificando la tempistica relativa, la posizione e l’angolo di questi punti di partenza, il team ha potuto creare ciascuno dei tre modelli di impronte digitali più comuni – archi, anelli e vortici – e anche quelli più rari. Gli archi, ad esempio, possono formarsi quando le creste dei polpastrelli iniziano lentamente, consentendo alle creste originate dalla piega e sotto l’unghia di occupare più spazio.
Lo studio mostra che la formazione delle impronte digitali segue alcuni temi di base che sono già stati elaborati per altri tipi di modelli che vediamo nella pelle. Infatti, persone con mutazioni genetiche che colpiscono le cellule WNT ed EDAR mostrano anomalie della pelle.
Il valore della ricerca sulle impronte digitali
La ricerca realizzata sulle impronte digitali ha il potenziale di aiutare a indirizzare la corretta formazione delle strutture della pelle quando queste non si stanno sviluppando correttamente già nell’utero. Potrebbe essere addirittura possibile intervenire dopo la nascita, e correggere cosi gli errori ‘genetici’ già realizzatisi.
Di fatto, lo studio, in termini più ampi, permetterà di comprendere meglio come maturi e si evolva la nostra pelle.
fonte: ScienceNews.org
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