Analisi del fenomeno maker e della rivoluzione “morbida” che porta con se’
In quest’epoca di trasformazione 4.0, una sempre più ampia schiera di artigiani digitali sta cambiando l’economia e i modelli di business, senza clamore e dal basso. Nel rapporto tra artigianato e nuove tecnologie, il punto non è più se l’artigiano deve essere digitale, ma ‘come’, in che forma, con quali modalità.
Perché oggi qualsiasi impresa deve fare ricorso all’innovazione. Per ottimizzare i costi, raccontarsi e proporsi al meglio, raggiungere mercati e clienti impossibili da avvicinare fino a pochi anni fa. I nuovi maker sono appassionati di tecnologia, ingegneri, imprenditori, pensatori, inventori, anche autori, artisti, studenti, chef, artigiani 4.0, insomma tutti coloro che creano con la forza delle proprie idee, e realizzano con le potenzialità degli strumenti hi-tech.
Sono persone che, con un approccio all’avanguardia, realizzano prodotti e progetti capaci di avvicinare la nostra società a un futuro più innovativo, semplice e funzionale. Il loro motto è non solo “fai da te”, ma soprattutto “facciamo insieme”. E lo spazio di sviluppo, in ambito aziendale, economico, sociale, che i maker potranno offrire e realizzare è enorme.
“L’artigiano italiano ha sempre fatto innovazione, per esempio realizzando da solo gli utensili e i macchinari, sperimentando nuove tecniche e nuovi materiali, ed è per questo che le nostre aziende offrono sul mercato prodotti straordinari, e l’Italia rimane un Paese fortissimo sul fronte della creatività. Ma il digitale dà una marcia in più all’economia italiana, a patto che le nostre piccole e medie imprese sappiano rinnovarsi, riorganizzare le risorse e, soprattutto, lavorare in Rete. Nel terzo millennio è questa la vera sfida dell’artigianato”, come rimarca Marco Bentivogli, segretario generale della Fim-Cisl, nel suo libro ‘Contrordine compagni‘, pubblicato da Rizzoli, con un sottotitolo molto esplicito: ‘Manuale di resistenza alla tecnofobia, per la riscossa del lavoro e dell’Italia’. Il volume affronta e analizza ogni aspetto della Rivoluzione 4.0 in corso, dall’Intelligenza artificiale all’IoT, dal cambiamento nelle aziende al lavoro, con potenzialità e prospettive, tra cui quelle dei nuovi artigiani Hi-tech.
Come si è visto a Maker Faire Rome 2019, che si è tenuta lo scorso 18-20 ottobre a Roma, e come si “legge” nelle bio dei moltissimi espositori – maker italiani e internazionali – che accorrono in Fiera a presentare i propri progetti, il digitale favorisce condivisione di competenze e attrezzature, contribuisce a recuperare, in modo nuovo e con strumenti nuovi, quella manualità artigianale che ha reso grande il Made in Italy, e che genera innovazione, lavoro e sviluppo, con importanti ricadute sociali.
Il ‘Rinascimento’ dell’artigianato Hi-tech
I nuovi artigiani digitali fanno di tutto: dalle produzioni di tipo ingegneristico, come apparecchiature elettroniche, realizzazioni robotiche, dispositivi per la stampa 3D, macchinari a controllo numerico, a quelle più convenzionali, come la lavorazione dei metalli e del legno.
Artigiano tradizionale e nuovo Maker innovativo
Ma quali sono le differenze tra artigiano tradizionale e artigiano digitale? Il maker è in sostanza un creativo con passione e competenze tech. Le soluzioni create dai maker non possono avere approcci e realizzazioni standard perché verrebbero meno originalità, diversità e competitività dell’impresa che le utilizza, e richiedono il continuo adattamento della ‘cassetta degli attrezzi informatici’ a contesti sempre nuovi, specifici e unici.
La convergenza tra artigiani e grande impresa 4.0
In questo scenario, è in atto “una convergenza davvero interessante tra nuovi artigiani e grande impresa. Un fenomeno che, lungi dal riesumare il disastroso ‘piccolo è bello’, riaccende la discussione sulla taglia dimensionale” delle aziende e dell’organizzazione del lavoro, sottolinea Bentivogli.
Il Digitale consente di aprire la catena del valore industriale al mondo dei maker, “grazie alla sempre maggiore ‘sartorialità’ delle produzioni, ad una ‘artigianalizzazione’ più spinta dell’opera del lavoratore industriale. Questa partita, giocata dentro i nuovi ecosistemi intelligenti, consentirà di collegare la domanda di identità con la progettazione dell’innovazione. Ma occorre riconnettere il lavoro al consumo, alla sostenibilità, per battere la domanda standard, tipica dei consumi insostenibili”.
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L’articolo originale di Stefano Casini per Innovation Post è disponibile qui