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“Ti presento il mio amico chatbot”: nuove sfide per l’interaction design

I nuovi chatbot hanno personalità spiccata e capacità di empatia

La nuova frontiera per i designer delle interfacce conversazionali è sviluppare un friendbot che possa sorprenderci con la sua personalità. Siete pronti a testarli? Sono passati, infatti, quasi settant’anni da “The Imitation Game“, i test di Alan Turing durante i quali le persone dovevano indovinare se stessero conversando con una macchina o con un essere umano. Oggi, il mondo dei chatbot è vasto e articolato. Abbiamo semplici bot che seguono un modello di domanda e risposta, e bot più complessi che utilizzano l’Intelligenza Artificiale e sono in grado di imparare.

Sul versante delle app, esistono i commerce bot, i customer  service bot,  i content bot, ma anche servizi creati per tenere compagnia durante la notte a chi soffre di insonnia oppure per ordinare le bevande durante una festa.

In un mondo in cui le persone sono sempre più abituate a ricevere feedback in tempo reale, 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, i chatbot si pongono come miglior modo per connettersi ai propri clienti, tant’è che entro il 2020 l’80% delle aziende prevede di servirsene.

 

Alla ricerca di chatbot empatici e autorevoli

Un dettaglio di non poco conto è il rendere l’interazione con un chatbot il meno frustrante possibile, cercando di prevedere le reazioni dell’utente e rispondendogli a tono. Oltre ai più comuni problemi di comprensione un aspetto interessante emerso da numerosi studi è che le persone tendono a porsi in una posizione dominante rispetto ad un chatbot e spesso lo “testano” provocandolo, consci del fatto che di fronte non c’è un altro essere umano. Questo si traduce spesso in frasi volgari piuttosto che in approcci più o meno sessualmente espliciti verso i chatbot di sesso femminile. Quello che salta all’occhio è che chatbot dalla risposta pronta e anche ironica riescono a instaurare una relazione empatica con l’utente, guadagnando rispetto e credibilità. Le persone tendono ad antropomorfizzare il mondo che le circonda e se si trovano di fronte un chatbot dalla personalità ben definita tendono a instaurarvi più facilmente una relazione positiva ed empatica.

 

Esempio di conversazione con il chatbot universitario LiSA, in cui a seguito di una risposta del chatbot l’utente si scusa per aver utilizzato un tono scortese.

Pensiamo a Poncho, un servizio meteo che, attraverso uno stile grafico vivace e accattivante e un gatto chatbot dal nome buffo, ha saputo andare oltre al semplice servizio informativo, instaurando una connessione empatica con i propri utenti. Poncho recentemente ha “cambiato lavoro” e lo ha comunicato tramite una lettera scritta ai suoi “amici di penna” dove spiega le motivazioni che lo hanno portato a tale cambiamento, come  un personaggio reale/immaginario vero e proprio.  

 

Lettera di saluto del chatbot Poncho rivolta ai suoi utenti/amici.

Nel frattempo da una startup campana è nata Laila, l’agente conversazionale che promette di comprendere le emozioni dei propri interlocutori attraverso la sentiment analysis e di rendere le conversazioni più coinvolgenti attraverso l’uso di emoji e gif. Il next level per rendere credibili i chatbot diventa quindi la capacità di creare un legame empatico con l’utente attraverso una solida personalità ed è qui che subentrano nuove figure come il conversational designer, l’AI interaction designer, il character designer o addirittura poeti, sceneggiatori televisivi o drammaturghi come nel caso di Microsoft Cortana. Avere un servizio di chatbot ormai è da tutti, ma averne uno che possa sorprenderci con la sua personalità diventando un friendbot è la nuova frontiera per i progettisti delle interfacce conversazionali. Noi restiamo in attesa di provarli e perché no, stringerci amicizia.

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Katarzyna Leszczynska, ricercatrice Dasic, Link Campus University