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Dalle guide ai game, ai sistemi intelligenti: conservazione e valorizzazione dei beni culturali ora sono “tech”

 

Numerose le imprese e le startup che lavorano all’intersezione tra Beni Culturali e tecnologia

adattamento di un articolo di Wired

Un museo su dieci nel mondo rischia di essere chiuso definitivamente e circa un terzo dovrà ridurre il proprio staff e l’80% dovrà ridimensionare i proprio programma. Sono alcune conseguenze della pandemia Covid-19 sul mondo della cultura, messe in luce da una recente ricerca dell’International Council of Museums, la principale organizzazione internazionale che rappresenta i musei. Negli Stati Uniti, per esempio, il Metropolitan di New York ha già lasciato a casa il 20% del personale e il Museum of Arts di Philadelphia prevede un taglio del 23%.

Come può l’innovazione digitale aiutare i musei italiani ad affrontare l’onda lunga degli effetti del coronavirus? L’Osservatorio del Politecnico ha sondato il terreno a maggio, tracciando un quadro non incoraggiante: il 51% dei musei non è dotato di wifi, il 51% non si avvale di professionisti con competenze legate al digitale e solo il 24% delle istituzioni culturali ha un piano strategico di innovazione digitale.

Sebbene negli ultimi due anni l’83% dei musei abbia investito per servizi digitali in loco, concentrandosi sul supporto alla visita (48%) e sulla catalogazione (46%), l’86% dei ricavi da biglietteria deriva ancora dalla vendita diretta sul posto. Solo il 23% ha un sistema di e-ticketing. Di più: audio-guide (32%), qr code (31%) e installazioni interattive (28%) sono tuttora gli strumenti di supporto alla visita più diffusi. Appena il 5% usa strumenti creativi come i videogiochi per coinvolgere potenziali visitatori.

Durante i mesi di blocco, l’interesse per la cultura online è stato calamitato dai social network: Instagram guida il trend con +7,2% a marzo e + 8,4% in aprile, seguito da Facebook e Twitter. Il 76% dei musei ha almeno un account e l’85% ha un sito. Tuttavia il livello di interazioni è rimasto stabile. Eppure qualcosa si muove, anche sotto la superficie di questa calma apparente.

Il mercato globale dell’arte vale nel mondo 67,4 miliardi di dollari e l’innovazione digitale, fra blockchain, intelligenza artificiale, realtà aumentata, virtuale e gaming può interessare anche questo settore.

Ecco quindi cinque idee di startup, associazioni e imprese italiane che propongono servizi innovativi digitali per i musei, enti pubblici o privati, fondazioni, banche, assicurazioni, restauratori e collezionisti di opere d’arte.

 

  • Hidonix

Addio alle obsolete audioguide con tanto di cuffie e telecomando: la guida digitale è direttamente nello smartphone del visitatore. Hidonix ha ideato la piattaforma Museum Innovation Technology (Mit) che, grazie alla computer vision, riconosce un’opera d’arte inquadrandola con la fotocamera permettendo di visualizzare contenuti multimediali extra sullo schermo: testi, audio, video nel linguaggio dei segni, 3D animati, immagini, filtri in realtà aumentata.

Mit permette di gestire i contenuti della piattaforma modulare come un normale Cms ed è dotato di 40 funzioni disponibili a seconda delle esigenze. Una di queste è la navigazione di interni con mappe interattive per orientarsi fra sale e corridoi “alla Google maps”, seguendo percorsi tematici che possono collegare fra loro le opere, facilitando la fruizione da parte del visitatore. Il tutto, senza installare fisicamente alcun beacon, ma sfruttando l’indoor outdoor navigation (Ion) sviluppata da Hidonix, basata sul geomagnetismo terrestre.

“Sappiamo quanto sia difficile disporre di budget corposi per l’innovazione tecnologica delle esposizioni, per questo vogliamo diventare partner dei musei: saremo noi a investire nella messa in opera della piattaforma – spiega Achille De Pasqualedirettore tecnologico della startup innovativa con sede a Catania e Milano -. Chiediamo solo di applicare il sovrapprezzo di un euro al biglietto di ingresso e dividere con noi le entrate che ne derivano”.

L’e-ticketing è una delle funzionalità fornite da Mit all’interno dell’app che sarà “vestita” e denominata con i colori del museo e che permetterà di raccogliere dati e fare community: “Oggi, dopo che il visitatore è andato via, il museo non sa più nulla di lui: invece, le feature di Mit generano analytics che forniranno big data preziosi di cui i musei sono privi, utili per conoscere la propria community, comprenderne il comportamento e fare del museo un’agorà di incontro tra persone, non solo un luogo per visitare capolavori”, osserva De Pasquale.

 

La app MIT
L’app Mit viene fornita ai musei in “white label” (foto ufficio stampa Hidonix)

 

Mit consente di attivare l’ecommerce davanti a determinate opere d’arte, inviare notifiche push per gli eventi e condividere foto con watermark e filtri a tema artistico, simili a quelli dei social network più popolari. Non da ultimo, tramite appositi visori è possibile proporre narrazioni immersive in realtà mista e virtuale, settore di provenienza di De Pasquale, fondatore di Hidonix insieme al fondo di investimento iBeHuman e affiancato oggi da un team di quindici persone.

  • ÆrariumChain

 

Proteggere le opere d’arte da deterioramento, furti e falsificazioni grazie all’uso di tre tecnologie: scansione 3D, blockchain e intelligenza artificiale. ÆrariumChain è un progetto sviluppato dalla startup Werea Srl presso il PoliHub di Milano come sezione di SweetHive, per rendere accessibile il monitoraggio continuo di ogni opera nel tempo, fornendo un condition report rapido. Tutto avviene in tre passaggi: scansione dell’opera in 3D e acquisizione sulla piattaforma, creazione dell’immagine univoca virtuale e inserimento in blockchain, comparazione a distanza di tempo con algoritmi di Ai.

ÆrariumChain punta a collaborare con musei, fondazioni, università e settore pubblico e a entrare nel mercato dei servizi al privato: case d’asta, gallerie, banche, assicurazioni, restauratori, logistica, fondi per l’arte, famiglie e collezionisti. “Il nostro sistema si presta per esempio agli scambi di opere tra musei, grazie a report in tempo reale inseriti in blockchain per ‘notarizzare’ tutti i passaggi registrando differenze e modifiche nell’opera tra un punto e un altro, oppure per riconoscere gli oggetti delle collezioni e garantirne la proprietà”, spiega Giorgio Rea, archeologo, fondatore e team leader di ÆrariumChain, con studi alla Sorbona di Parigi.

La scansione viene fatta con foto o diversi tipi di scanner, fisso o a manopola, con precisione dai 30 ai 60 micron, a laser o luce strutturata, anche da operatori esterni. Una volta acquisita e creata la unique virtual image “la blockchain pubblica (Amazon) e privata (di ÆrariumChain) permette di accedervi in maniera protetta, decifrando le informazioni associate: proprietario, certificati, ubicazione, contratti (come le assicurazioni) e ‘Quality score’. Garantiamo l’affidabilità dei dati senza ricorrere a soggetti terzi – spiega Rea -. In futuro, quando l’algoritmo Ai avrà uno stato ottimale, oltre a individuare i problemi prima dell’occhio umano, potrà fornire anche indicazioni su possibili cause e rimedi”.

 

Il team di Aerarium
Da sinistra Maurizio Rea, co-fondatore AerariumChain; Pramod Rauniyar, Cto; Danilo Rea, Co-fondatore; Giorgio Rea, fondatore e team leader (foto: Aerarium)

Vendita, trasporto, restauro, assicurazione. “Il progetto si rivolge a un mercato da 350 milioni di euro all’anno in Italia”, è la stima alla base dell’idea che nel 2018 ha vinto la call Idee vincenti di Lottomatica e oggi collabora con il Museo egizio di Torino per scopi scientifici. Al centro del team di nove persone ci sono i fratelli Rea, con Danilo (ad) e Maurizio (Business developer). L’acquisizione delle immagini sulla piattaforma è gratuita, la blockchain costa 9,99 euro ad articolo, gli abbonamenti mensili variano su tre profili: Basic (enti pubblici), Pro ed Enterprise (privati).

  • TuoMuseo

“Quante sono le app dei musei piene di contenuti, ma con poche manciate di download? Forse ha più senso provarci con un videogioco: non servirà per una tesi di laurea, ma potrà appassionare e avvicinare al museo un pubblico lontano”. Fabio Viola, 40 anni, game designer di Pisa, è l’autore di Father & son, videogioco narrativo “con 4,5 milioni di download, il primo al mondo lanciato sul mercato su commissione di un museo”, l’archeologico nazionale di Napoli (Mann), nel 2017.

Tradotto in dieci lingue, “scaricato persino in Bangladesh e usato in Cina come brochure per le gite su Napoli”, Father & Son è stato realizzato da TuoMuseo, l’associazione culturale nata dopo aver vinto il bando Innovazione di Fondazione Cariplo nel 2016, in grafica 2D.

“Si parla tanto di 4D, definizione 8k, ma ‘più complesso’ non equivale a migliore: se l’obiettivo è ricostruire il ‘mood’ di Napoli va benissimo anche il 2D – spiega Viola, il fondatore – Il videogioco è un’espressione artistica e culturale della contemporaneità e può essere di per sé un’opera d’arte che resta nella collezione immateriale dei musei”.

TuoMuseo, collettivo internazionale di 15 artisti, game designer, sviluppatori, sound designer, animatori 3D, ha realizzato anche A life in music per il teatro Regio di Parma (“350mila download, mentre le presenze sono 10mila in un anno”), Past for future per il museo Marta di Taranto, Firenze Game e The Medici Game che, per la fedele riproduzione in 3D ha richiesto accurati sopralluoghi a Palazzo Pitti. Recentemente ha lanciato sugli store Fragments of life, un videogioco sulla frontiera della medicina nelle terapie geniche per curare la leucemia e il cancro, per il consorzio europeo Restore.

“Gamification” come supporto agli obiettivi di musei e istituti culturali, che possono così attirare un pubblico più giovane e ampio: alcuni come The Medici Game si sbloccano in modalità freemium, altri come Father & Son forniscono contenuti aggiuntivi quando l’utente si trova sui luoghi della narrazione. “Il titolo che non farei mai? ‘Museogame’”, esemplifica Viola, studi in Archeologia e con un’esperienza in Electronic Arts dopo aver iniziato a produrre videogiochi ‘indie’ nei primi anni Duemila. “Gli ‘edugame’ non funzionano – prosegue -, la chiave è la narrativa tenendo presente che il nuovo modo di raccontare storie nel 21esimo secolo è fatto di utenti ‘creattivi’ e di ‘spettattori’: più ‘storydoing’ che ‘storytelling’, il giocatore è anche autore della storia”.

 

 

Una schermata di Father & Son, videogioco del museo Mann di Napoli (foto TuoMuseo)
Una schermata di Father & Son, videogioco del museo Mann di Napoli (foto: TuoMuseo)

  • Bepart

Progetti di rigenerazione urbana, musei diffusi, sentieri naturalistici, esplorazioni archeologiche: sono solo alcune applicazioni della realtà aumentata di Bepart, che da startup ideata nel 2013 è diventata impresa sociale cooperativa, in grado di produrre e installare opere digitali creative animate negli spazi pubblici e non, fruibili in realtà aumentata con un semplice smartphone.

Il modello è Maua, il Museo di Arte urbana aumentata, diffuso tra oltre cento opere di street art tra i quartieri di Milano, Torino e Palermo. “Chiamato così perché servisse a scoprire e valorizzare gli angoli meno conosciuti delle città, rivisitando il concetto di museo: una volta arrivati sul posto il murales prosegue sul telefonino con un’animazione in realtà aumentata e informazioni aggiuntive sull’artista e l’opera”, spiega Giovanni Franchina, fondatore di Bepart.

Maua è stato “realizzato da oltre 300 autori e i contenuti visualizzati oltre 350mila volte”. Le opere di street art sono state mappate con fotografie da ragazzi e studenti e, in una seconda fase, sono stati coinvolti giovani creativi in workshop di realtà aumentata, usando software come Unity e Unreal“Più che produrre internamente come agenzia creiamo dei team – spiega Franchina -: molti conoscono già i programmi di image editing, ma pochi padroneggiano quel 10% di conoscenze in più per realizzare contenuti in realtà aumentata: interveniamo su questo gap, insegnando l’animation design. Il progetto ha quindi un aspetto di protagonismo e inclusione tramite percorsi autoriali, perché consente di sviluppare una creatività rivolta agli altri, mettendosi in gioco”.

L’ultima fase è dedicata agli itinerari turistici, per la valorizzazione culturale di luoghi, risorse e contenuti diffusi da fruire scaricando l’app di Bepart e inquadrando un apposito marker sul posto. Nata grazie al programma Innovazione culturale di Fondazione Cariplo, l’organizzazione ha vinto nel 2019 il premio “Turismo 4.0” di Regione Lombardia e YouCamera. Tra i lavori recenti ci sono Mar – Miniera Argentiera di Sassari, primo museo minerario a cielo aperto in realtà aumentata; Crystal Drops, opera diffusa da piazza Maggiore ai giardini Margherita a Bologna per il Resilienze festival, sul tema nutrizionale e alimentare; Arda – A ritmo d’acque, sedici itinerari ciclabili a sud di Milano alla scoperta del patrimonio storico, culturale e turistico lungo i Navigli fino a Pavia, in collaborazione con Base.

 

Uno street tour Maua a Torino (foto ufficio stampa)
Uno street tour Maua a Torino (foto: ufficio stampa)
  • Beyond International

Ammirare le opere di un museo senza muoversi dal divano di casa, spostandosi tra le sale ai comandi di un robot che permette di interagire in tempo reale con gli altri visitatori: è una delle possibilità di Double III, il device di telepresenza robotica realizzato dalla californiana Double Robotics e distribuito in Italia da Beyond International, società milanese di consulenza in leadership e innovazione manageriale legata ai future trend.

Pensato prima per lo smartworking, Double III ha trovato presto applicazione anche in ambito culturale. Il museo inglese Hastings Contemporary lo ha usato durante l’emergenza coronavirus per “portare” sul posto i visitatori impossibilitati a uscire per la quarantena e già in passato la Tate di Londra aveva adottato la telepresenza robotica per consentire visite private fuori dagli orari di chiusura.

“Entrare” da remoto nel corpo di un robot, attivarlo e comandarlo tramite browser da pc, smartphone o tablet, avendo due ruote come “gambe”, un’asta telescopica come “corpo” e uno schermo come “volto”: così funziona Double III che si muove negli ambienti seguendo i clic dell’utente sull’interfaccia, simile a un visore stradale, evita gli ostacoli grazie a sensori 3D, e permette di comunicare all’esterno via webcam e microfono. Comandato da un solo utente, la funzionalità “multiple viewer” consente di “ospitare” più persone connesse insieme.

Il device può servire nello scambio di opere d’arte tra musei, quando gli addetti ai lavori non possono viaggiare. “Double III ha permesso il collegamento fra la Galleria nazionale di arte moderna e contemporanea di Roma e il Marmottan di Parigi, consentendo ai curatori francesi di monitorare le condizioni di sicurezza dell’opera ‘Le pont japonais’ di Claude Monet al suo arrivo nel museo capitolino e seguire da remoto le fasi di allestimento”, racconta Luisa Bagnoli, fondatrice e ad di Beyond.

Non solo. Double III sarà anche un oggetto e soggetto nella mostra “Robot – The human project” in programma al Mudec di Milano, dal 26 novembre. Qui i visitatori saranno accolti da un robothespian, ma probabilmente non si vedranno automi a spasso tra i corridoi delle esposizioni. Le norme di sicurezza sono stringenti, a meno di organizzare percorsi oppure orari dedicati. “Inizialmente pensavamo alla telepresenza robotica come un modo per visitare la mostra, ma ha assunto un rilievo diverso dopo il Covid – spiega il co-curatore Alberto Mazzoni -: è possibile immaginare che l’utilizzo del device da parte di un utente diventi esso stesso oggetto della visione degli spettatori, in una modalità ‘caleidoscopica’. A metà strada tra l’uomo cyborg e i robot umanoidi, come ‘avatar’ della persona, Double III può essere un esempio di co-botica: una robotica intelligente non del tutto passiva ma collaborativa, che è ancora agli albori della propria era”.

 

Double III, il device di telepresenza robotica 
Double III, il device di telepresenza robotica 

 

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