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Un robot di slime per la medicina d’avanguardia

Una rivoluzionaria forma di ‘slime’ per la medicina endoscopica d’avanguardia

Ideale per catturare oggetti e esplorare i sistemi digestivi, il robot-slime potrebbe rappresentare l’ultima frontiera della robotica medica

 

Gli scienziati dell’università cinese di Hong Kong hanno creato uno slime magnetico capace di ‘abbracciare piccoli oggetti’, stimolare l’auto-guarigione e viaggiare attraverso i recessi più nascosti e difficili del corpo umano. Si tratta di un materiale che apre alla progettazione di nuovi robot dal corpo morbido.

Lo slime contiene particelle magnetiche che gli permettono di essere guidato per poter ‘viaggiare, ruotare o formare forme’ all’interno del corpo in risposta a magneti esterni che lo controllino. Eì’ anche un buon conduttore elettrico e può essere utilizzato per interconnettere elettrodi, come segnalano i ricercatori che hanno lavorato al suo sviluppo.

Lo slime magnetico non ha certo un’estetica invitante – sui social media è stato paragonato a Flubber, sostanza protagonista dell’omonimo film di fantascienza del 1997 – e descritto come un “escremento magnetico, sorprendente e un po’ terrificante” ma, al netto del suo aspetto, la sua funzione è decisamente importante.  Altri ancora, avendo appreso che lo slime può assumere diverse forme e ‘afferrare oggetti’ (pensiamo a quelli ingeriti per errore) lo hanno paragonato al parassita spaziale visto in “Venom”.

In ogni caso, il team di ricerca che lo ha sviluppato ha già dichiarato di essere al lavoro su una serie di pigmenti adatti a modificarne il colore e l’aspetto con altri più allegri e accattivanti.

Uno slime simile a quello protagonista del film ‘Flubber’ I foto: Brian Williams Science
Quando si piega e assume forme per catturare oggetti, lo smile sembra somigliare al parassita Venom, dell’omonimo film I foto ZUMAPRESS.com

L’articolo che ne descrive nel dettaglio composizione e funzionamento è stato pubblicato sulla rivista scientifica Advanced Functional Materials.

Lo slime manca, per il momento, di autonomia. “Lo studio è al momento ancora concentrato sulle proprietà del materiale, ma non escludiamo di utilizzarlo come elemento robotico”, hano dichiarato i ricercatori dell’università cinese di Hong Kong, autori del lavoro. 

Le applicazioni mediche

Lo slime può attraversare canali stretti anche 1,5 mm e manovrare su più substrati in ambienti complessi, assolvendo varie funzioni, tra le quali la presa di oggetti solidi, la deglutizione e il trasporto di oggetti pericolosi, il monitoraggio dei movimenti ( si pensi alla peristalsi dell’intestino) ma anche la commutazione e riparazione di circuiti (potrebbe essere il caso di impianti sottocutanei, es pacemaker o altro tipo di stimolatori elettrici.

Si tratta di un materiale che apre alla progettazione di nuovi robot dal corpo morbido e migliora le loro future applicazioni in campo biomedico, elettronico e oltre.
Curiosi di capire come funziona in dettaglio? E’ tutto nel video:

Composizione e proprietà del materiale

Lo slime ha proprietà viscoelastiche, il che significa che a volte si comporta come un solido, a volte si comporta come un liquido.

È costituito da una miscela di un polimero chiamato alcol polivinilico, borace – ampiamente utilizzato nei prodotti per la pulizia – e particelle di magnete al neodimio.

È un prodotto molto simile a quello che si ottiene in casa mescolando acqua con l’amido [di mais]: la miscelazione dei due produce oobleck, un fluido non newtoniano la cui viscosità cambia quando sottoposto a forza. Se toccato velocemente e con forza si comporta come un solido. Se toccato delicatamente e lentamente si comporta come un liquido. 

Le particelle magnetiche presenti nello slime possono risultare tossiche per l’uomo. Per questo, il materiale è stato rivestito con uno strato di silice, il componente principale della sabbia, per formare un strato protettivo e ‘sigillarne’ i componenti. Si sta anche testando la sicurezza relativa alla sua ingestione e all’attacco che può subire dai fluidi organici (es. acidi gastrici). Ad oggi, sembrerebbe dipendere molto dal tempo di permanenza all’interno del corpo ma si sta lavorando per capire come ottimizzare anche questa performance in modo da permettere al personale medico di trarre il massimo vantaggio dal suo utilizzo.


 

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