Tecnologia robotica in sala operatoria, tra strumenti e competenze
La robotica entra in sala operatoria
Tecnologia robotica e intelligenza artificiale stanno rapidamente trasformando la pratica chirurgica
La chirurgia robotica ha una storia più antica di quanto si possa pensare. Esistono sistemi robotici (certo, non avanzati come quelli attuali) utilizzati in chirurgia da decenni. Uno dei primi a raggiungere una diffusione ampia e a essere ampiamente adottato in diversi campi chirurgici è stato un sistema dal nome evocativo, “Da Vinci”.
“Grande taglio, grande chirurgo”, si usava dire. Solo il chirurgo capace ed esperto “meritava” di eseguire interventi complessi, altamente demolitivi e che prevedevano grandi incisioni. Interventi che venivano eseguiti in grandi anfiteatri, consentendo ai chirurghi in formazione di assistere da vicino e imparare dall’esperienza di luminari: l’evoluzione della chirurgia, dai primi dell’Ottocento in poi, è stata per lo più rivolta alla tecnica chirurgica e alla progressiva conoscenza delle conseguenze fisiologiche che la rimozione, o la ricostruzione, dell’anatomia potevano provocare.
Grandi sforzi erano rivolti alla riduzione di sanguinamenti o delle infezioni post-chirurgiche, due delle cause più frequenti di rischio per i pazienti sottoposti ad interventi chirurgici.
La tecnologia entra in sala operatoria
E’ dopo la Seconda guerra mondiale, con “l’esplosione tecnologica”, che arrivano grandi dotazioni meccaniche, anche piuttosto avanzate, all’interno delle sale operatorie. Luci scialitiche, flussi di asportazione, monitor, ventilatori, divennero presto la routine di ogni blocco chirurgico. Il chirurgo utilizza strumenti, da sempre: pinze, forbici, angiostati. Dall’inizio del XX secolo, grandi nomi della chirurgia – Pean, Kocher, Kelly, Mayo, Metzenbaum – hanno proposto strumenti che poi sarebbero diventati di routine in un set chirurgico e che portano i loro nomi. Nomi che non hanno mai smesso di essere citati nelle sale operatorie.
Da allora, la ricerca nel campo della strumentazione chirurgica ha dominato la passione dei chirurghi.
La chirurgia robotica mininvasiva
La robotica chirurgica, che più tecnicamente viene chiamata Robot Assisted Surgery, è una branca dell’ingegneria medica che si propone di sviluppare un sistema automatizzato per operare a distanza. Questo è stato il primum movens della nascita del robot chirurgico. Non la precisione o la miglior visione, ma la possibilità di manovrabilità a distanza. Quest’ultima può variare da pochi centimetri (micromanipulation) a milioni di chilometri (chirurgia spaziale). Un approccio nato ben prima del XXI secolo.
In Italia, l’idea di trovare un modo per ridurre l’invasività dell’intervento chirurgico germogliò sottobanco nel 1925, quando il Re d’Italia Vittorio Emanuele III venne operato di ernia inguinale con una grossa incisione. I medici del tempo lo costrinsero a letto per circa due settimane e da lì serpeggiò l’idea che si dovesse trovare un modo meno invasivo per risolvere le patologie chirurgiche. Tanto che alcuni testi medici, da lì in avanti, teorizzavano l’immobilità come terapia di molte patologie acute, come ad esempio la perforazione intestinale.
Ai giorni nostri, la dimestichezza con le metodiche mininvasive è diventata un requisito essenziale per poter svolgere l’attività. I chirurghi “open”, che preferiscono interventi invasivi, vengono visti come “vintage” da molti chirurghi di generazioni più recenti, nati e cresciuti con la tecnologia.
La storia della robotica chirurgica
Il primo sistema robotico teleoperato fu sviluppato dopo la Seconda guerra mondiale, più precisamente nel 1948, anno in cui Ray Goertz sviluppò un sistema per manipolare materiale radioattivo a distanza. Ben presto, l’applicazione nell’industria del nucleare divenne solamente una piccolissima parte di quello che questo sistema avrebbe potuto rappresentare per un mercato più ampio, come l’ingegneria aerospaziale e la chirurgia.
Alla fine degli anni ’50 nacque il RAMS (Robotic Assisted Micro Surgery), sviluppato dal Pentagono per operare a distanza i feriti di guerra. Tale sistema prevedeva un telecontrollo dei movimenti di bracci chirurgici manipolati a distanza dalla consolle guidata dal chirurgo.
L’evoluzione di questo robot venne realizzata dal sistema PUMA che, nel 1985, consentiva di eseguire biopsie cerebrali.
Agli inizi degli anni duemila, però, due industrie americane in parallelo lavoravano alacremente per sviluppare un robot telecomandato per le sale operatorie: fu cosi che, accanto all’Intuitive Surg, con il suo sistema Da Vinci, anche la Computer Motion lanciò due robot: il sistema AESOP – che presentava un singolo braccio endoscopico controllato a pedale – e il sistema ZEUS che prevedeva più bracci gestiti in contemporanea.
A seguito di una competizione agguerrita, Intuitive Surg e Computer Motion decisero di fondersi nel 2003 dando origine alla Intuitive Surgical Inc. e da lì il robot Da Vinci IS 1200 vide i suoi natali nelle sale operatorie statunitensi.
Da Vinci, il primo robot chirurgico
Il robot chirurgico ha stravolto ogni immaginario. Non più un semplice strumento ma un amplificatore degli organi di senso dell’operatore e un “sostituto” più capace e preciso. Il robot, che nei suoi presupposti tecnologici ha visto le basi negli anni ’80 o forse prima, momento in cui anche la rivoluzione industriale fungeva da propulsore per i sistemi di automazione, ha dovuto però attendere la difficoltosa procedura di brevetto nel 1999, quando la neonata azienda Intuitive (oggi la definiremmo “startup”) lanciò il primo sistema chirurgico robotizzato: il sistema Da Vinci.
Solo l’anno dopo, l’FDA – l’autorità statunitense che sovraintende all’adozione di farmaci e procedure mediche – ne approvava l’utilizzo nella pratica clinica e da lì, pian piano, la diffusione si in tutti i paesi civilizzati.
In realtà però, pur essendo al giorno d’oggi il primo vero robot chirurgico completo, nonché quello più largamente utilizzato, il Da Vinci non è il primo robot presente sul mercato.
Robot chirurgico: com’è fatto
Un robot chirurgico è costituito da tre componenti:
- consolle chirurgica
- carrello paziente
- carrello visione
La consolle chirurgica
È il centro di controllo di tutto il sistema. È un sistema di seduta ergonomica in cui il chirurgo si appoggia e da dove, guardando all’interno di uno schermo ad alta definizione 3D, manipola due controller ed esegue i movimenti che il robot effettuerà sul paziente.
Nel visore stereo, le punte degli strumenti si allineano con le mani del chirurgo che impugnano i manipolatori al fine di simulare il naturale allineamento di occhi, mani e strumenti tipico della chirurgia open. Il dimensionamento in scala dei movimenti e la riduzione del tremore forniscono un ulteriore controllo che minimizza l’impatto del tremore fisiologico delle mani del chirurgo o di movimenti involontari.
L’operatore alla console chirurgica, inoltre, ha la possibilità di passare dalla vista a schermo intero a una modalità a più immagini , che mostra l’immagine 3D del campo operatorio insieme ad altre due immagini (ecografo, ECG, etc).
Il carrello paziente
È il componente operativo ed è costituito da un grosso braccio (boma) da cui partono quattro bracci su cui vengono montati gli strumenti chirurgici e la telecamera.
Il sistema Da Vinci fa uso di una tecnologia a centro remoto, un punto fisso nello spazio attorno al quale si muovono le braccia del carrello paziente. Questa tecnologia consente al sistema di manipolare gli strumenti e gli endoscopi all’interno del sito chirurgico minimizzando la forza esercitata sulla parete corporea del paziente.
Il carrello visione
È l’unità centrale di elaborazione dell’immagine, una colonna con video da cui partono le regolazioni delle strumentazioni ad energia e il sistema di insufflazione della CO2 per gli interventi addominali.
Robot chirurgico: come funziona e come lo usa il chirurgo
Date le dimensioni dell’intera strumentazione, il robot chirurgico necessita di spazi ampi per consentire il movimento della strumentazione senza compromissione della sterilità.
Per effettuare un intervento robotico servono due chirurghi: l’operatore che sta seduto alla consolle e l’aiuto che controlla il posizionamento degli strumenti al carrello paziente. Una volta posizionato il paziente sul letto operatorio, anestetizzato e connesso al sistema di monitoraggio, viene preparato per l’accesso al robot. Questa procedura, che si chiama docking, prevede, dopo l’effettuazione di alcune piccole incisioni (8 mm) e l’inserimento dei canali operativi (trocar), di avvicinare il robot e connetterlo ai trocar.Viene poi effettuata una calibrazione del sistema ottico che prevede che il boma ruoti automaticamente orientando ergonomicamente i bracci operatori verso il sito chirurgico. Vengono successivamente inseriti gli strumenti per l’esecuzione dell’intervento, cambiabili nel corso dello stesso a seconda delle necessità.
Robot chirurgico: i vantaggi
La chirurgia robotica presenta notevoli vantaggi, in particolar modo riferibili al comfort, per il chirurgo, nella visualizzazione e manipolazione durante gli interventi mininvasivi.
- L’immersività della visione 3D con ingrandimento fino a 10 volte consente di migliorare la visione delle strutture, anche quelle più piccole, riducendo lo stress visivo e consentendo una perfetta visione 3D
- La manipolazione precisa ed estremamente articolata consente di ridurre il tremore fisiologico e di eseguire dissezioni delicate e piccole
- L’intervento mininvasivo, riducendo di molto le dimensioni delle ferite chirurgiche, consente una ripresa precoce e un’importante riduzione del dolore post-operatorio
- La magnificazione della visione unitamente alla manovrabilità consentono una precisione maggiore e, dunque, una sensibile riduzione dei sanguinamenti.
Molti interventi hanno giovato della piattaforma robotica tanto da essere molto vicini al diventare il gold standard, ossia il riconoscimento del robot come best treatment (ad esempio, nel caso della prostatectomia radicale).
È ancora presto per definire il reale spazio che verrà riservato alla chirurgia robotica in tutti i tipi di chirurgia, ma grandi passi avanti sono stati già compiuti.
La mininvasività è un valore e una strumentazione “intuitive” consente di apprendere la tecnica più velocemente rispetto alla chirurgia laparoscopica tradizionale.
Il chirurgo nell’era della tecnologia: tra arte medica e ingegneria di precisione
L’introduzione crescente della tecnologia e della robotica in sala operatoria non ha semplicemente modificato gli strumenti nelle mani del chirurgo: ha ridefinito la natura stessa del suo ruolo, trasformandolo in regista dell’atto chirurgico, da interprete solitario a coordinatore di una sinfonia tecno-medica.
Se un tempo la perizia manuale era la quintessenza dell’identità del chirurgo, oggi essa si fonde con la capacità di interagire con sistemi complessi: console robotiche, intelligenze artificiali, realtà aumentata. Il bisturi cede spesso il passo a bracci robotici, controllati con la precisione millimetrica di interfacce digitali che moltiplicano l’efficacia del gesto umano, riducendo l’invasività e i margini di errore. Non si tratta più soltanto di “fare con le mani”, ma di “pensare con la macchina”.
Questo passaggio comporta anche una mutazione epistemologica: il sapere chirurgico non è più isolato, ma costantemente interconnesso con flussi di dati, immagini tridimensionali, algoritmi predittivi. Il chirurgo deve saper leggere questi segnali, interpretarli, integrarli con l’intuito clinico. Il sapere tecnico si arricchisce di una dimensione ingegneristica, e il gesto operatorio si trasforma in un atto di collaborazione uomo-macchina.
Tuttavia, questa evoluzione non annulla la dimensione umanistica della chirurgia. Anzi, la rende forse ancora più centrale. In un contesto dove la precisione è affidata alle macchine, l’empatia, il giudizio clinico, la responsabilità morale e la capacità di decidere in condizioni incerte restano prerogative insostituibili dell’essere umano. La chirurgia del futuro non sarà meno umana, ma diversamente umana.
In definitiva, il chirurgo contemporaneo si muove in un territorio nuovo, ibrido, dove la tecnologia non sostituisce, ma amplifica. Un territorio in cui l’arte medica si ridefinisce nel dialogo continuo tra mente, macchina e corpo. E in questa trasformazione, il chirurgo resta — pur con nuovi strumenti e nuove posture — il custode ultimo della cura.
Seguici, iscriviti alla nostra newsletter: ti forniremo solo le informazioni giuste per approfondire i temi di tuo interesse